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al testo proposto da Loredana Savelli
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L’ottavo mese, in pieno autunno,
urla furioso il vento, che dal tetto della mia capanna tre strati di paglia ha sollevato. La paglia vola attraverso il fiume e si sparpaglia sull’altra riva, in alto s’impiglia sulla punta degli alberi, in basso svolazza vertiginosa nelle pozzanghere. I ragazzi a sud del villaggio si prendono gioco di me, perché vecchio e debole, giungono addirittura a rubare sotto i miei occhi. Riempiono senza scrupoli le braccia di paglia penetrando nel bosco di bambù, le alte grida m’asciugano le labbra e la bocca, ma non servono, torno a casa appoggiato al bastone e sospiro. D’un tratto il vento cessa e le nere nubi s’addensano, il cielo d’autunno si oscura come al crepuscolo. La coltre imbottita, dopo anni d’uso, è gelida come il ferro, i bambini amorosi, scalciando nel sonno agitato, ne hanno lacerato la fodera. Nel letto con l’acqua trapelata dal tetto non si trova un posto asciutto, la pioggia fitta e sottile cade ininterrotta. Da quando scoppiò la rivolta, di sonno io sono carente, bagnato fradicio, come potrò sopportare una notte così lunga... Se ci fossero milioni di vani immensi, i poveri letterati di tutto il mondo vi troverebbero felici un ricovero, protetto dal vento e dalla pioggia, sicuro come una montagna. Ahimè! Quando mai potranno apparire all’improvviso davanti ai miei occhi queste dimore... Allora, se solo la mia capanna fosse abbattuta e io solo fossi dal gelo ucciso, morirei contento! |
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